Ricorso  della  regione  Sardegna,  in persona del presidente della
 giunta regionale pro-tempore on. Mario Floris,  giusta  deliberazione
 della  giunta n. 30/63 del 10 luglio 1990, rappresentato e difeso, in
 virtu di mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof.  Sergio
 Panunzio  e  presso di esso elettivamente domiciliato in Roma, piazza
 Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio  dei  Ministri,  in
 persona  del Presidente del Consiglio in carica, per la dichiarazione
 di incostituzionalita' del d.-l. 15  giugno  1990,  n.  151,  recante
 "Disposizioni urgenti in materia di trasporti locali" con particolare
 riguardo all'art. 1, secondo e terzo comma.
                               F A T T O
    A  seguito  dell'approvazione  del  Contratto nazionale collettivo
 degli autoferrotranvieri, siglato il 2 ottobre 1989 tra  il  Ministro
 dei trasporti ed i rappresentanti dei sindacati, lo Stato stabili' di
 assumere a proprio carico i relativi oneri finanziari, provvedendo ad
 inserire   tale   copertura  nella  tabella  A  allegata  alla  legge
 finanziaria 1990 (legge 27 dicembre 1989, n. 407).
    L'inserimento  per  l'assegnazione  delle relative somme in favore
 delle regioni, che a loro  volta  avrebbero  dovuto  assegnarle  alle
 aziende  pubbliche  e private di trasporto, presupponeva l'emanazione
 di un apposito disegno  di  legge  che,  secondo  le  intenzioni  del
 Governo,  doveva  essere  approvato in tempi brevi dal Parlamento. Il
 Governo, difatti, presento' alla Camera il disegno di legge n.  4229,
 che  correttamente prevedeva l'attribuzione di tali somme a favore di
 tutte le regioni: anche di quelle a statuto speciale. Tuttavia l'iter
 di  approvazione  di  tale  disegno  di  legge  subiva  considerevoli
 rallentamenti ai tempi previsti.  Di  conseguenza,  anche  a  seguito
 delle  previsioni nel frattempo esercitate dalle organizzazioni delle
 aziende di trasporto  pubbliche  e  private  (che  avevano  applicato
 immediatamente il contratto ed elargito ai propri dipendenti le somme
 stabilite nel nuovo accordo, ma che  per  fare  cio'  avevano  dovuto
 richiedere  anticipazioni  bancarie  e dunque si trovavano gravemente
 esposte dal punto di  vista  finanziario),  il  Governo  ha  ritenuto
 necessario  intervenire  con il decreto-legge 15 giugno 1990, n. 151,
 pubblicato nella Gazzeta Ufficiale n. 140 del 18 giugno u.s.
    Come risulta dal preambolo, il d.-l. n. 151/1990 e' stato adottato
 "Vista la legge 27 dicembre 1989, n. 407, con  la  quale  sono  stati
 stanziati  lire  450  miliardi per l'anno 1990, lire 910 miliardi per
 l'anno 1991 e lire 1.350 miliardi per l'anno 1992 come concorso dello
 Stato  negli  oneri  per  il  rinnovo  contrattuale  nel  settore dei
 pubblici trasporti, a fronte dell'accantonamento negativo di lire 260
 miliardi  per  l'anno 1990 e per lire 300 miliardi per ciascuno degli
 anni 1991 e 1992, derivante  dalle  misure  di  razionalizzazione  in
 materia  di  trasporti,  per  le  quali  e'  all'esame del Parlamento
 apposito disegno di legge (atto Camera n. 4229)".
     L'art.  1  del  d.-l. n. 151, che maggiormente rileva ai fini del
 presente ricorso, e' composto di tre commi che recitano:
      "1.   -  E'  autorizzato  un  primo  concorso  dello  Stato  nel
 finanziamento  degli  oneri  derivanti  dall'applicazione  del  nuovo
 contratto  nazionale collettivo degli autoferrottranvieri, siglato il
 2 ottobre 1989, nella misura di lire 190 miliardi per l'anno 1990.
      2.  - Il Ministro dei trasporti, con proprio decreto adottato di
 concerto  con  il  Ministro  del  tesoro,  provvede  a  ripartire  il
 contributo  di cui al comma primo tra le regioni a statuto ordinario,
 per le aziende di propria competenza esercenti  pubblici  servizi  di
 trasporto  di  persone, e tra le aziende ferroviarie in concessione e
 le gestioni governative.
    3.  -  Il  Ministro dei trasporti, con proprio decreto adottato di
 concerto  con  il  Ministro  del  tesoro  e  sentita  la   Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra lo Stato, le regioni e le provincie
 autonome di Trento e di Bolzano, provvede annualmente a ripartire tra
 le regioni a statuto ordinario, per le aziende di propria competenza,
 e tra le aziende feroviarie in concessione e le gestioni  governative
 gli  importi  del  concorso  statale  di  cui  al  secondo  comma con
 riferimento alla  quota  di  incremento  retributivo  pro-capite  del
 personale dipendente delle aziende".
    Il  decreto-legge  in  questione,  dunque,  stabilisce che l'onere
 derivante dall'accordo nazionale venga assunto dallo Stato  solo  per
 le   regioni  ad  autonomia  ordinaria.  La  regione  autonoma  della
 Sardegna, cosi' come le altre regioni ad  autonomia  speciale,  viene
 esclusa dalla ripartizione nonstante che il contratto nazionale degli
 autoferrotranvieri  si  applichi  anche  alle  aziende  di  trasporto
 pubbliche e private operanti in Sardegna.
    Cio'  significa che la regione Sardegna dovra' intervenire per far
 fronte al nuovo onere finanziario delle aziende di trasporto sarde  o
 utilizzando  la  propria  quota del Fondo nazionale per il ripristino
 dei disavanzi  di  esercizio  delle  aziende  di  trasporto,  di  cui
 all'art.  9  della legge 10 aprile 1981, n. 151 (cosi' come essa gia'
 aveva fatto in passato in occasione di analoghi aumenti derivanti  da
 accordi  nazionali,  ma  questa  volta  senza  che  vi  sia  stato un
 corrispondente intervento statale per l'incremento  della  quota  del
 Fondo nazionale trasporti), o comunque utilizzando le proprie risorse
 finanziarie. In ogni caso senza alcuna, neppure parziale,  assunzione
 dell'onere da parte dello Stato.
    Poiche'  la  surriferita disciplina del decreto-legge n. 151/90 e'
 gravemente lesiva dall'autonomia  costituzionalmente  garantita  alla
 regione  Sardegna,  questa  si  vede  costretta  ad  impugnarla per i
 seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1.  - Violazione delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 3,
 lett. g); 4 lett. g); 6; e del titolo III (artt. 7-14) dello  statuto
 speciale della Sardegna e relative norme d'attuazione (spec. artt. 59
 e segg. del decreto del Presidente della Repubblica 19  giugno  1979,
 n.  348);  nonche'  violazione degli artt. 3, 81, 97, 116 e 199 della
 Costituzione.
    E'  ben  noto  che  l'autonomia  delle regioni e delle province di
 Trento  e  Bolzano  trova  il  suo  essenziale  supporto  nella  loro
 autonomia  finanziaria.  Onde  -  come  e' stato affermato da codesta
 ecc.ma Corte fin dalla sentenza  n.  21  del  1956  -  le  regioni  e
 province  autonome  hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a
 disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese  necessarie  ad
 adempiere alle loro normali funzioni.
    Un  diritto  che,  nel caso della regione ricorrente, trova il suo
 fondamento (oltre che nell'art. 119 della Costituzione) nello statuto
 speciale  della  regione  Sardegna  (legge Costituzionale 26 febbraio
 1948, n. 3), spec. artt. 7 e segg. (titolo III)  anche  in  relazione
 agli artt. 3 e 6 e nelle relative norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  la  affidabilita'  di tatli trasferimenti sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    Cio'  premesso,  la  disciplina  stabilita  dal  d.-l. n. 151/1990
 risulta  essere  sotto  vari  aspetti  censurabile  e  lesiva   della
 autonomia della regione Sardegna.
    In  primo  luogo  perche'  essa costituisce un ennesimo esempio di
 quel tipo di intervento  contingente  e  disorganico  che  -  secondo
 l'insegnamento  di  codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 307/1983) - non
 e'  ammissibile  in  una  materia  cosi'  delicata  come  e'   quella
 dell'autonomia  finanziaria  delle  regioni.  Inoltre  perche'  esso,
 concludendo la regione Sardegna (e  le  altre  regioni  ad  autonomia
 speciale)  da  un  trasferimento  finanziario  che  peraltro concerne
 attivita' e spese  che  la  regione  deve  comunque  effettuare  (per
 vincolo  costituzionale  e  di  legge), lede l'autonomia della stessa
 regione:  sia  quella  finanziaria  sia  quella  funzionale.   Infine
 perche',  con  una  discriminazione  del tutto irrazionale ed odiosa,
 cio' che viene negato alla regione  Sardegna  viene  invece  elargito
 dallo Stato alle regioni ad autonomia ordinaria.
    La esclusione della regione Sardegna dal trasferimento finanziario
 disciplinato  dall'art.  1  del  decreto-legge  in  questione  e'  di
 particolare  gravita'  sia  per  l'entita' dell'onere finanziario che
 cosi' si addossa alla regione, sia per la essenzialita'  dei  servizi
 su cui tale "taglio" dei finanziamenti finisce per incidere.
    Cio' che, soprattutto, merita di essere sottolineato e' che con il
 decreto-legge  impugnato  lo  Stato  nega  alla  regione  le  risorse
 finanziarie  che  ad  essa  sono  necessarie  al fine di garantire la
 prestazione di servizi publici, e di  fare  fronte  alle  correlative
 spese.  prestazioni  e  spese  che sono obbligatorie per la regione e
 "rigide" nella loro entita': comunque,  non  dipendenti  da  autonome
 scelte regionali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato.
    In  proposito  e'  sufficiente qui osservare come la disciplina in
 questione  incida  particolarmente  in  una  materia  di   competenza
 regionale  di grado primario, quale e' quella in materia di trasporti
 di interesse regionale di cui all'art. 3, lettera g),  dello  statuto
 (oltre  che  in  quella concorrente in materia di servizi pubblici di
 interesse regionale, ex art. 4, lettera  g),  dello  statuto;  ma  si
 considerino  anche  le  commesse  competenze in materia di trasporti,
 delegate dallo stato: v. decreto del Presidente della  Repubblica  22
 maggio  1975,  n.  480,  art.  8;  e  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 19 giugno 1979, n. 348, artt. 59 e segg.,  spec.  61).  Si
 tratta  dunque di una disciplina che comporta per la regione un onere
 di  spesa  che  attiene  all'espletamento  di  un  servizio  pubblico
 essenziale  di  propria  competenza,  quale  e' quello dei trasporti,
 diretto a soddisfare rilevanti  valori  costituzionali  (come  quelli
 inerenti al diritto dei cittadini ad avere mezzi idonei per circolare
 nel territorio, anche per motivi di  lavoro,  e  per  l'esercizio  di
 attivita'  economiche). Un servizio il cui espletamento la regione e'
 dunque obbligata a garantire, pur  avendo  in  gnenere  poteri  assai
 limitati di controllo sulla relativa spesa (si pensi, per esempio, ai
 poteri dello Stato in ordine alla determinazione delle tariffe:  cfr.
 anche il d.-l. 4 marzo 1989, n. 77, convertito in legge n. 160/1989).
 Ma in particolare del tutto priva di poteri di controllo della  spesa
 e'  la  regione nello specifico caso in questione, dato che l'accordo
 nazionaale  degli  autoferrotranvieri  si  applica  alle  aziende  di
 trasporto regionale pur non essendo stato sottoscritto, ne' approvato
 dalla regione.
    La regione Sardegna, dunque, come tutte le altre regioni italiane,
 ma a diferenza delle altre senza il sostegno finanziario dello Stato,
 dovra'  intervenire  a  favore delle aziende di trasporto pubblico al
 fine di sollevarle dagli oneri conseguenti agli aumenti contrattuali.
 Per fare cio' potra' utilizzare una parte della quota a Lei assegnata
 del Fondo nazionale trasporti di  cui  all'art.  11  della  legge  n.
 151/1981.  Si  dovra',  in  ogni modo, o una corrispondente riduzione
 delle risorse finanziarie stanziate in bilancio  per  gli  interventi
 gia'  programmati  in  materia  di  trasporti pubblici, oppure - come
 sembra necessario data la  rigidita'  della  spesa  per  i  trasporti
 publici  -  si  dovranno  stornare  risorse finanziarie proprie della
 regione (di finanza "non derivata"), gia' destinate al  finanziamento
 di  altre  attivita'  necessarie  per  l'esercizio  delle funzioni di
 propria competenza.
    Riassuntivamente, con la disciplina in questione, si pone a carico
 della regione un aumento - indipendente dalla sua  volonta'  -  della
 spesa  per  i  servizi  di  trasporto, senza che la regione abbia gli
 strumenti per controllare complessivamente tale spesa, e  tanto  meno
 per  ridurla;  e  quindi  la  si  costringe  a  ripianare  il deficit
 risultante dal mancato intevento finanziario dello Stato destinando a
 tali  spese  le risorse proprie che debono quindi essere distolte dai
 loro impieghi, cosi' riducendo altri tipi  di  interventi  regionali,
 ostacolando   l'esercizio   delle  normali  funzioni  della  regione,
 impedendole   una   razionale   programmazione   degli    interventi,
 sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio.
    Dunque,  la  disciplina  statale  impugnata,  che attribuisce alla
 regione ricorrente la responsabilita' per un  aumento  (non  da  essa
 voluto)  della  spesa  per  un servizio volto a soddisfare un diritto
 costituzionale dei  cittadini,  senza  fornirle  i  mezzi  finanziari
 necessari  per  farvi  fronte  (ne'  strumenti per il controllo ed il
 governo della spesa stessa, viola  -  ad  un  tempo  -  il  principio
 costituzionale   di   ragionevolezza   della   legge  (art.  3  della
 Costituzione), e quello di autonomia finanziaria della regione (artt.
 3,  lettera  g),  4, lettera g), 6, e titolo terzo, dello statuto) da
 cui discende pure - come anche da ultimo ribadito da  codesta  ecc.ma
 Corte  (sentenza  n.  314/1990) - la "garanzia della proporzionalita'
 delle spese rispetto alle risorse disponibili e  della  certezza  dei
 mezzi   finanziari   necessari"   allo   svolgimento  delle  funzioni
 regionali.  Ed  al  tempo  stesso  tale  disciplina  viola  anche  il
 principio  di  copertura  finanziaria  stabilito dall'art. 81, quarto
 comma,  della  Costituzione.  Un  principio,  quest'ultimno,  che  si
 estende  anche  alle  spese  accollate dallo Stato agli enti del c.d.
 settore pubblico allargato,  e  del  quale  e'  puntuale  espressione
 l'art.  27  della  legge 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi
 che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate,  a  carico
 dei  bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 devono contenere
 la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura
 finanziaria riferita ai relativi bilanci annuali e pluriennali".
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  intero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec.  con  le  sentenze  n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio facendo
 leva sul  necessario  raccordo  tra  il  governo  del  settore  e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita'di norme  legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome - senza disporre i corrispondenti trasferimenti  di  risorse
 finanziarie  -  spese  necessarie per il funzionamento (in quel caso)
 del  Servizio  sanitario  nazionale  derivanti   da   decisioni   non
 imputabili   peraltro   a   tali   enti,   o  comunque  da  essi  non
 controllabili: cosi' costringendo le regioni stesse  (e  le  province
 autonome)  a  prelevare  le risorse necessarie a colmare il deficit o
 dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge n.  281/1980  (per  le
 regioni  a statuto ordinario) o dalle corrispondenti entrate di parte
 previste dai  corrispettivi  ordinamenti  (per  le  altre  regioni  a
 statuto  speciale  e  le  province autonome) o comunque dalla finanza
 "propria".
    Riassumendo. La disciplina stabilita dall'art. 1 del decreto-legge
 impugnato e' dunque incostituzionale, primo luogo, perche' essa viola
 il  rpincipio  della  copertura  della  spesa  stabilita dall'art. 81
 quarto comma, della Costituzione, come esplicitato ed  attuato  anche
 dall'art.  27  della  legge  n. 468/1978, in quanto essa accolla alla
 regione ricorrente nuove spese senza prevedere  e  fornirle  i  mezzi
 finanziari per farvi fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impugnata  viola, al tempo stesso,
 l'autonomia finanziaria della regione (con i connessi principi  della
 proporzionalita'  delle  spese  rispetto  alle  risorse disponibili e
 della certezza dei mezzi finanziari necessari allo svolgimento  delle
 funzioni)  in  materia  -  in  primo  luogo  - di trasporti (artt. 3,
 lettera g), 4 lettera g), 6 e titolo III dello statuto, nonche'  art.
 59 e segg. del decreto del Presidente della Republica n. 348/1979, ed
 art.  119  della  Costituzione,  ma  anche  nelle  altre  materie  di
 competenza  propria  (artt. 3 e 5 dello statuto). Cio' in quanto tale
 disciplina,  senza  tenere  minimamente  conto  delle   esigenze   di
 coordinamento  della  spesa statale con quella regionale, scarica sul
 bilancio della regione spese di cui essa non ha il governo, e che non
 possono  da essa essere sostenute altro che stornando proprie risorse
 finanziarie destinate ad  altri  settori;  e,  quindi,  riducendo  le
 capacita'  di  spesa  e di intervento della regione anche nelle altre
 materie di propria competenza.
    Tale  disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore
 profilo, per violazione anche degli artt. 3 e 116 della Costituzione.
 In  modo  del  tutto  irazionale  ed  ingiustificato  essa,  infatti,
 discrimina la regione ricorrente,  nei  confronti  delle  regioni  ad
 autonomia  ordinaria che ricevono il finanziamento previsto dall'art.
 1 del decreto-legge impugnato;  ma  tale  discriminazione  in  pejus,
 oltre  che  inammissibile  in  se',  e'  in  contrasto proprio con le
 ragioni della specialita' dell'autonomia  della  regione  ricorrente,
 sancita in primo luogo dall'art. 116 della Costituzione.
    In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra
 enti, ma fra gli stessi cittadini  italiani,  a  seconda  della  loro
 resistenza.  Poiche'  mentre essi hanno tutti, egualmente, un diritto
 costituzionalmente garantito a potere fruire di un servizio  pubblico
 di  trasporto  funzionale,  ed  adeguato  alle  esigenze dell'utenza,
 viceversa la disciplina impugnata (per quanto le regioni le  Province
 autonome  da essa discriminate possono cercare di far fronte ai nuovi
 oneri della spesa per i trasporti trasferendovi  altre  risorse)  non
 potra'  non  riflettersi negativamente sulla funzionalita' e qualita'
 dei servizi resi dalle aziende di trasporto della regione ricorrente,
 dando   cosi'   luogo   ad  una  ingiustificata  differenziazione  di
 trattamento a scapito di cittadini della regione stessa.
    Infine,  le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come
 la disciplina in questione determini, altresi', una violazione  degli
 artt.  3  e  97  della  Costituzione, pregiudicando il buon andamento
 della  amministrazione  regionale  e  dei  servizi  pubblici  di  sua
 competenza.
    In   conclusione,   per   i   motivi   sopra  illustrati,  non  e'
 costituzionalmente  corretto   addossare   -   come   ha   fatto   il
 decreto-legge  impugnato  -  alle sole regioni ad autonomia speciale,
 escludendole dal riparto dell'apposito contributo statale, l'onere di
 finanziare  eslusivamente  con  le proprie finanze le ulteriori spese
 delle aziende di trasporto  conseguenti  all'applicazione  del  nuovo
 contratto collettivo degli autoferrotranvieri.
    La  incostituzionalita' della disciplina impugnata trova del resto
 conferma in quanto affermato in argomento  da  codesta  ecc.ma  Corte
 nella  sentenza n. 307/1983 (n. 15 della motivazione in diritto), che
 pure dichiaro' incostituzionale una analoga norma  legislativa  dello
 Stato  che  obbligava  le regioni a ripianare i deficit delle aziende
 locali di trasporto attingendo alle proprie finanze.
    2.  -  Violazione  dell'art.  47  dello  statuto  speciale  per la
 Sardegna e relative norme d.attuazione.
    La  esclusione  dal finanzamento statale disposta dalla disciplina
 impugnata riguarda solatnto le regioni ad  autonomia  speciale  e  le
 province di Trento e Bolzano. Non vi e' dubbio, quindi, che si tratta
 di  una  disciplina  che  "riguarda   particolarmente"   la   regione
 ricorrente.  Pertanto,  ai  sensi  dell'art.  47,  ultimo comma dello
 statuto, il presidente della  regione  doveva  essere  convocato  per
 intervenire  alla  seduta  del  Consiglio  dei Ministri del 15 giugno
 1990, in cui venne deliberato il decreto-legge impugnato.
    Ma  il presidente della giunta non e' stato convocato in occasione
 della  deliberazione  del  Consiglio   dei   Ministri   relativa   al
 decreto-legge  in  questione.  Cio'  comporta una puntuale violazione
 della norma  statutaria  e  dell'autonomia  regionale,  e  quindi  la
 incostituzionalita' della disciplina legislativa impuganta.